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Mobbing e responsabilitą del datore di lavoro

29/05/2015


Il complessivo comportamento vessatorio a danno di un lavoratore riconducibile a mobbing e la circostanza che tale condotta sia messa in atto da altro dipendente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli obblighi di cui all'art. 2049 c.c., ove questo sia rimasto colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo.

Questo principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 10037/2015 riguardo il caso di una dipendente comunale per la quale erano stati accertati “la sottrazione delle mansioni, la conseguente emarginazione, lo spostamento senza plausibili ragioni da un ufficio all'altro, l'umiliazione di essere subordinati a quello che prima era un proprio sottoposto, l'assegnazione ad un ufficio aperto al pubblico senza possibilità di poter lavorare,così rendendo ancor più cocente la propria umiliazione".

La Corte di Appello aveva condannato in solido il Comune, in qualità di datore di lavoro, e l’autore delle azioni vessatorie a risarcire il danno alla salute e professionale in favore della dipendente quale conseguenza di un comportamento mobbizzante. Entrambi ricorrono avverso la sentenza.

La Cassazione rigetta i ricorsi, ritenendo corrette le argomentazioni della Corte di Appello ed evidenziando che "la durata e le modalità con cui è stata posta in essere la condotta mobbizzante, quale risulta anche dalle prove testimoniali, sono tali da far ritenere la sua conoscenza anche da parte del datore di lavoro, nonché organo politico, che l'ha comunque tollerata".