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Cassazione. Licenziamento per grave condotta

06/04/2016



Si segnalano due recenti sentenze di Cassazione da prendere in considerazione per i principi in esse affermati.

Licenziamento per aver timbrato il cartellino di un collega
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5777 del 23.3.2016, si pronuncia sulla legittimità del licenziamento di un lavoratore per aver timbrato intenzionalmente il cartellino di un collega assente, ritenendo che la sanzione applicata sia proporzionata all’entità del fatto.
Infatti, con congrua motivazione, la Corte di Appello ha spiegato che si ravvisava nel comportamento del dipendente una frode ai danni del datore di lavoro, con la disinvolta violazione delle norme disciplinari e l’elusione dei sistemi di controllo datoriale, che comportava inevitabilmente il venir meno del rapporto di fiducia, tale da non giustificare in alcun modo la prosecuzione del rapporto di lavoro.
A nulla è valso che il lavoratore sostenesse la sproporzione della sanzione che non teneva conto del suo successivo ravvedimento che aveva consentito al datore di lavoro di venire a conoscenza del fatto illecito, dell’assenza di precedenti disciplinari, e del fatto che il contratto collettivo non contemplasse il comportamento contestatogli tra le ipotesi passibili della massima sanzione.
La Suprema Corte ribadisce che “in tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi”. “Tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità.”. Il relativo accertamento – continua la Cassazione - va operato caso per caso, valutando la gravità di determinati comportamenti in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi.
In sostanza il ricorso del lavoratore è stato rigettato.

Licenziamento per abuso dei permessi legge 104
È legittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che aveva abusato dei permessi di cui alla legge n. 104/1992, usufruendo solo in minima parte del tempo totale concesso per assistere un familiare disabile. Nella specie si trattava dei 3 giorni di permesso mensile retribuito.
Si è pronunciata in tal senso la Corte di Cassazione, con la sentenza del 22 marzo 2016 n. 5574, respingendo il ricorso del dipendente avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva ritenuto la sanzione irrogata dal datore di lavoro proporzionata alla condotta “indicativa di un sostanziale e reiterato disinteresse del lavoratore al rispetto delle esigenze aziendali e dei principi generali di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto”.
La Suprema Corte condivide le motivazioni della Corte di Appello: il lavoratore aveva fatto un uso improprio dei permessi mensili concessigli, sia riguardo alla percentuale del tempo destinato all'attività di assistenza, solo il 17,5% del tempo totale, sia per le altre modalità temporali in cui tale attività risultava prestata, caratterizzate da un'evidente irregolarità in termini di fascia oraria e di durata della permanenza.