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Maternità. Licenziamento della lavoratrice

09/11/2012

 

La Corte di Cassazione, con recenti sentenze, si pronuncia su due diverse ipotesi di licenziamento di lavoratrici in maternità, non trovando applicazione, nei casi specifici, il divieto di licenziamento ex art. 54 del D.Lgs. n. 151/2001 (tutela maternità e paternità), in presenza “di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro”.

 

Con la sentenza n. 16746 del 2 ottobre 2012 la Corte di Cassazione dichiara legittimo il licenziamento di  una lavoratrice madre che, in congedo parentale, non invia la relativa domanda al datore di lavoro e all’Inps, precisando che "la lavoratrice che intende esercitare la facoltà di assentarsi dal lavoro per il periodo di astensione facoltativa ha l'onere di darne preventiva comunicazione al datore di lavoro e all’istituto di assicuratore ove quest'ultimo sia tenuto a corrispondere la relativa indennità, precisando il periodo dell’assenza, che è frazionabile".

Inoltre, ricorda la Corte che l’art. 32 del D.Lgs. n. 151/01 stabilisce che, ai fini dell'esercizio del diritto ad assentarsi dal lavoro per congedo parentale, il genitore interessato “è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni”.

Comunicazione non avvenuta da parte della lavoratrice che non ha neppure allegato particolari condizioni psico-fisiche legate al suo stato di puerperio, che abbiano avuto una incidenza causale o concausale del comportamento omissivo.

 

Anche con la sentenza n. 14905 del 5/9/2012 la Cassazione ritiene lecito il licenziamento della lavoratrice che, al termine del congedo di maternità, non aveva ripreso l’attività lavorativa (per un periodo di 40 giorni) giustificando il proprio rifiuto  come addebitabile all’inadempimento del datore di lavoro nel pagamento della retribuzione. La Cassazione conferma il verdetto della Corte di Appello territoriale che ha accertato la sussistenza in concreto della “colpa grave” della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro (D.Lgs. n. 151/01, art. 54, comma 3, lett. a)) in quanto nella fattispecie, a fronte del comportamento inadempiente del datore di lavoro (mancato pagamento di una sola mensilità della retribuzione), il rifiuto della prestazione non era stato conforme ai principi di correttezza e buona fede, ma era stato determinato da motivi non corrispondenti alle finalità per le quali esso è concesso dalla legge.