
Indennità di maternità anche al padre adottivo libero professionista
Il padre libero professionista ha diritto all’indennità di maternità (in sostituzione della madre) a seguito dell’adozione di un bambino straniero, nel rispetto del principio della alternatività tra i due genitori e nell’interesse del minore.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10282/2018, respingendo il ricorso di Cassa Forense che aveva negato l'indennità di maternità a un avvocato padre di un bambino adottato, in sostituzione della madre. In primo e secondo grado l’avvocato aveva invece ottenuto la condanna della Cassa al pagamento in proprio favore della somma di Euro 4.706,55.
In particolare si richiama la pronuncia della Corte Costituzionale n. 385 del 2005 che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del D.Lgs. n. 151/2001, nella parte in cui non prevedevano che al padre libero professionista spettasse il diritto a percepire, in alternativa alla madre, l’indennità di maternità in caso di adozione. Riconoscere il diritto all’indennità al padre adottivo o affidatario che sia lavoratore dipendente ed escluderlo, viceversa, nei confronti di colui che eserciti la libera professione, crea un comportamento discriminatorio tra genitori e tra lavoratori autonomi e dipendenti.
Inoltre, ad avviso della Consulta, gli istituti nati a salvaguardia della maternità, come i congedi e i riposi giornalieri, non hanno più, come in passato, il fine precipuo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino che va tutelato non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità. Al il fine di garantire, in caso di adozione e affidamento, una completa assistenza al bambino nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, non riconoscere l’eventuale diritto del padre all’indennità di cui all’art. 70 del D.Lgs. n. 151/2001 in alternativa alla madre, costituirebbe un ostacolo alla presenza di entrambe le figure genitoriali.
Nel caso di specie la Cassazione precisa anche che sia stato rispettato il termine perentorio di 180 giorni per la proposizione della domanda perché decorrente dalla data di ingresso del minore in famiglia e non dalla data del suo ingresso in Italia.
Conclude la Suprema Corte che, “in attesa dell’intervento del legislatore per gli aspetti richiesti dalla Corte Costituzionale, il giudice a quo è, comunque, tenuto ad individuare sul piano interpretativo la regola per il caso concreto che dia concreta vitalità al principio imperativo stabilito con la sentenza di accoglimento.”.