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Unioni civili e convivenze di fatto nell'attivitą di impresa

10/04/2017


L’INPS, con la circolare n. 66 del 31/03/2017, nel ricordare che la legge n. 76/2016 ha introdotto l’istituto delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplinato le convivenze di fatto, fornisce le prime istruzioni in merito ai riflessi delle nuove disposizioni sulla disciplina degli obblighi previdenziali posti a carico degli esercenti attività d’impresa.
 
 

Unioni civili

Tenuto conto che il componente dell’unione civile è equiparato al coniuge, sono estese le tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma anche ai coadiuvanti uniti civilmente al titolare. Pertanto il titolare sarà tenuto, mediante il sistema ComUnica, a indicare come proprio collaboratore colui al quale è unito civilmente, identificandolo, nel campo relativo al rapporto di parentela, quale coniuge.
Precisa inoltre l’INPS che anche ai fini dell’istituto dell’impresa familiare, il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare deve essere equiparato al coniuge, con i conseguenti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale.

Convivenze di fatto
Le convivenze di fatto consistono in unioni stabili tra due persone maggiorenni, legate da vincoli affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
Diversamente da quanto accade per le unioni civili la nuova normativa, pur estendendo al convivente alcune tutele, riservate al coniuge o ai familiari, non introduce alcuna equiparazione di status, né estende al convivente gli stessi diritti/obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore. Pertanto, il convivente di fatto, - precisa l’INPS -non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d’impresa, non è contemplato quale prestatore di lavoro soggetto a obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare.
Nella circolare si evidenzia comunque che il codice civile, a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 76, attribuisce al convivente “che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente“ il diritto di “partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato”, a meno che non sussista già tra le parti un rapporto di subordinazione o di società.
L’attribuzione di utili d’impresa al convivente di fatto non comporta l’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare.