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Corte di Cassazione: sicurezza sul lavoro

01/02/2016


Si segnalano due sentenze della Corte di Cassazione sull’obbligo del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., di assicurare condizioni di lavoro sicure.
 

Assenza di condizioni di sicurezza e rifiuto della prestazione lavorativa
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 19 gennaio 2016 n. 836, ribadisce che la mancata adozione delle misure di prevenzione e sicurezza da parte del datore di lavoro legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, conservando il diritto alla retribuzione.
Il caso specifico riguarda dei lavoratori, addetti all'assemblaggio delle portiere delle auto, che, a causa della ripetuta caduta di diverse portiere, si erano rifiutati di proseguire il lavoro sino a quando l'azienda automobilistica non avesse adempiuto agli obblighi in materia di sicurezza. Dopo i primi interventi urgenti di riparazione, gli operai erano tornati al lavoro, ma l’azienda aveva addebitato loro la retribuzione corrispondente al fermo di un'ora e 45 minuti, qualificando il rifiuto della prestazione come sciopero.Mentre il Tribunale rigettava il ricorso dei dipendenti, la Corte di Appello condannava la società a pagare le somme trattenute.
Con questa sentenza la Cassazione rigetta il ricorso dell’azienda ribadendo “che il datore di lavoro è obbligato ai sensi dell'art. 2087 c.c. ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni ed è tenuto ad adottare nell’esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”. In caso di violazione di tale obbligo non solo è legittimo il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, ma costui conserva, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore di lavoro.

Infarto del casellante dopo una rapina e risarcimento dall’azienda
Ancora nell’ambito della disciplina di cui all’art. 2087 cod. civ. che prevede un generale "dovere di sicurezza" a carico del datore di lavoro, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34 del 5 gennaio, condanna la società datrice di lavoro al risarcimento del danno ad un casellante per infarto del miocardio e per la conseguente patologia cardiaca, verificatisi due mesi e mezzo dopo la rapina subita durante l'attività lavorativa.
Il lavoratore aveva denunciato l'evento dannoso come ascrivibile alla condotta della società datrice di lavoro, che non aveva approntato le "giuste cautele" per preservare l'integrità dei lavoratori addetti all'esazione del pedaggio, facendolo risalire allo stress lavorativo protrattosi nel tempo dopo la rapina.
La Corte ribadisce la propria giurisprudenza secondo cui la prova liberatoria a carico del datore di lavoro è generalmente correlata alla quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi, di norma, al datore di lavoro l'onere di provare l'adozione di comportamenti specifici che, ancorché non risultino dettati dalla legge (o altra fonte equiparata), siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, dagli standard di sicurezza normalmente osservati.
Pertanto, la società che non prova di aver fornito strumenti volti a garantire la sicurezza ai casellanti deve risarcire il danno biologico al dipendente che abbia subito un danno.