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Corte giustizia Ue: licenziamento collettivo e lavoratrice in gravidanza

13/03/2018

 

 

Una normativa nazionale che consente il licenziamento di una lavoratrice gestante a causa di un licenziamento collettivo non è contraria al diritto comunitario, senza che ciò escluda, tuttavia, la facoltà per gli Stati membri di garantire una protezione più elevata alle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.


In un caso del genere, il datore di lavoro deve fornire alla lavoratrice licenziata i motivi che giustificano il licenziamento nonché i criteri oggettivi adottati per designare i lavoratori da licenziare.

 

Lo ha stabilito la Corte di giustizia della Ue con sentenza del 22 febbraio 2018 (C - 103/2016), in una causa riguardante il licenziamento di una lavoratrice spagnola in gravidanza, nell’ambito di un licenziamento collettivo del personale di una società bancaria. Licenziamento intimato nel rispetto della normativa spagnola che prevede che una lavoratrice gestante possa essere licenziata per motivi diversi, non riguardanti la gravidanza o l'esercizio del diritto ai permessi e all'aspettativa conseguenti alla maternità.

 

In particolare alla Corte era chiesto di interpretare il divieto di licenziare le lavoratrici in gravidanza, previsto nella direttiva 92/85 sulla sicurezza e la salute delle lavoratrici gestanti, nel contesto di una procedura di licenziamento collettivo ai sensi della direttiva 98/59.


I Giudici della Corte ritengono che non vi sia contrasto tra la normativa spagnola e le norme della direttiva 92/85 che dispone le misure per promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.


Infatti, la direttiva 92/85 vieta il licenziamento delle lavoratrici nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza e il termine del congedo di maternità, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato, ammessi dalle legislazioni e/o prassi nazionali. Pertanto se il licenziamento avviene nel periodo sopraindicato, per motivi diversi dalla gravidanza, non è contrario alla direttiva 92/85, se il datore di lavoro fornisce per iscritto giustificati motivi di licenziamento e se questo è consentito dalla normativa e/o prassi dello Stato membro.

 

A tal fine, precisa la Corte, il combinato disposto delle due direttive (la 92/85 e la 98/59 sui licenziamenti collettivi) richiede unicamente che il datore di lavoro esponga per iscritto i motivi non inerenti alla persona della lavoratrice gestante per i quali esso effettua il licenziamento collettivo (motivi economici, tecnici o relativi all’organizzazione o alla produzione dell’impresa) e indichi alla lavoratrice i criteri presi in considerazione per designare i lavoratori da licenziare.

 

Considerato l’orientamento assunto ora dalla Corte di giustizia della Ue, ricordiamo che secondo le norme vigenti in Italia è vietato il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino, a meno che non vi sia cessazione di attività dell'azienda che rappresenta un principio rigoroso non estensibile. Nel senso che è illegittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro alla lavoratrice in gravidanza per chiusura del solo reparto cui era addetta, anche nei casi di procedura collettiva (Cass. n.22720/2018).