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Cassazione. Assenza per malattia e richiesta ferie

19/06/2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10725/2019, afferma i seguenti due principi: il lavoratore può chiedere che l’assenza per malattia sia convertita in ferie; le continue e pressanti richieste del datore di lavoro sullo stato di salute del dipendente sono condotte vessatorie integranti il mobbing.


Malattia e ferie
Il caso riguarda una lavoratrice alla quale la Corte d'Appello aveva riconosciuto la illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto, in quanto la società datrice di lavoro non aveva concesso alla dipendente la conversione del titolo di assenza da malattia a ferie, non valutando il fondamentale interesse della richiedente al mantenimento del posto di lavoro.
Non aveva inoltre fornito alcuna prova delle esigenze aziendali a giustificazione del rifiuto, come avrebbe dovuto.
La Cassazione, nel confermare tale decisione, precisa che il lavoratore assente per malattia ha facoltà di chiedere la fruizione delle ferie, al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto, non sussistendo una incompatibilità assoluta tra malattia e ferie.
La richiesta del dipendente, per ottenere la conversione del titolo dell'assenza, deve precedere la scadenza del periodo di comporto, dato che da quel momento il datore di lavoro acquisisce il diritto di recedere.

 
Condotta datore di lavoro e mobbing
Altra questione esaminata nell’ordinanza è relativa ai comportamenti datoriali consistenti nelle continue e pressanti richieste di chiarimenti alla lavoratrice sulle sue assenze per malattia e sulle cure mediche, nonché nella privazione delle mansioni al rientro dalla malattia e nella richiesta di dimissioni.
Detti comportamenti erano stati valutati anche dalla Corte territoriale alla stregua di condotte vessatorie integranti mobbing, riconducibili alla responsabilità datoriale a norma dell'art. 2087 c.c., in violazione dell’obbligo di sicurezza posto a suo carico.

La Cassazione ricorda che “una tale riconducibilità è coerente con i consolidati principi di diritto affermati in sede di legittimità per cui, ai fini della configurabilità del mobbing lavorativo, l'elemento qualificante, che deve essere provato da chi assuma di avere subito la condotta vessatoria, va ricercato non nell'illegittimità dei singoli atti bensì nell'intento persecutorio che li unifica…”.