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Cass.pen. Permessi L.104 tra "flessibilitą" e "abuso"

13/01/2017


La Corte di Cassazione, seconda sezione penale, con la recente sentenza n. 54712 del 23 dicembre 2016 torna ad occuparsi dei permessi lavorativi di cui alla legge n. 104/92, affermando nuove posizioni sulla modalità di fruizione ma censurandone l’abuso che resta comunque punibile.

In particolare questa sentenza, nel confermare la condanna per truffa di una lavoratrice che aveva utilizzato i permessi retribuiti non per assistere la madre disabile ma per recarsi in viaggio all'estero, offre nel contempo una interpretazione “estensiva” della norma, affermando che l’assistenza al disabile non debba essere prestata per tutta la giornata, ma è sufficiente che venga attuata con modalità costanti e con quella flessibilità che tenga conto anche dei bisogni e delle esigenze del lavoratore.
 

A tal fine richiama la precedente sentenza n. 4106/2016 con la quale aveva affermato, in contrasto con l’orientamento restrittivo, che nei giorni di permesso l’assistenza, sia pure continua, non necessariamente dovesse coincidere con gli orari lavorativi.
 

La Corte spiega l’evoluzione del quadro normativo, anche ad opera della Corte Costituzionale, e ricorda che la finalità dei permessi resta quella di prestare aiuto e assistenza alle persone disabili e, nello stesso tempo, di costituire un sostegno economico alle famiglie “il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap”.
 

Nel caso di specie si discute se sia lecito per il lavoratore che chieda di usufruire dei permessi retribuiti, di non assistere la persona disabile e, quindi di utilizzare quei giorni come se fossero feriali, potendone disporre a suo piacimento, in quanto destinati al recupero delle energie psico-fisiche del fruitore.

La Cassazione non condivide tale tesi, sia perché, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, all’epoca dei fatti l’assistenza doveva essere prestata con continuità e in via esclusiva (condizioni poi abrogate), sia perché è evidente che l’assistenza non è ipotizzabile quando, come nel caso in esame, il fruitore dei permessi se ne disinteressi completamente, partendo per l’estero.
 

I permessi, infatti, pur essendo venuti meno i requisiti della “continuità ed esclusività”, non devono essere considerati come giorni di ferie ma solo come un’agevolazione concessa a chi è si è fatto carico di un gravoso compito, di poter svolgere l’assistenza in modo meno pressante e, quindi, da potersi ritagliare in quei giorni, in cui non è obbligato a recarsi al lavoro, delle ore da dedicare esclusivamente alla propria persona. “Ma, è ovvio che l’assistenza dev’esserci.”.
 

“In conclusione,- si legge nella sentenza - la censura dev’essere disattesa alla stregua del seguente principio di diritto: “colui che usufruisce dei permessi retribuiti ex art. 33/3 L. 104/1992, pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore in cui avrebbe dovuto svolgere attività lavorativa, non può, tuttavia, utilizzare quei giorni come se fossero giorni feriali senza, quindi, prestare alcuna assistenza alla persona handicappata. Di conseguenza, risponde del delitto di truffa il lavoratore che, avendo chiesto ed ottenuto di poter usufruire dei giorni di permesso retribuiti, li utilizzi per recarsi all’estero in viaggio di piacere, non prestando, quindi, alcuna assistenza”. La condotta dell’imputata è grave e, quindi, non può essere ritenuta di particolare tenuità, sia perché grava sulla collettività, sia perché è “espressione di un illegittimo malcostume, conseguenza di una mal riposta fiducia nella lealtà del dipendente”.

Una sentenza, questa della Cassazione Penale, che necessiterebbe di un’analisi approfondita per i possibili effetti sul rapporto di lavoro, tenuto conto della sua interpretazione estensiva.