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1° dicembre 2015 Numero 41 Anno II

 

orario fragile

Stefano Feltri - ilfattoquotidiano.it - 29 novembre 2015

“La frase incriminata è questa: “Dovremmo immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento l’ora-lavoro“. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha questo talento, parlare di cose serie come se stesse sempre commentando l’ultima mungitura, il condimento di una tigella, lo spessore di una lasagna. Risulta perciò difficile prenderlo sul serio, discutere il merito di quello che dice invece che il modo, lo stile. Proviamoci.
L’orario di lavoro è ancora utile? La risposta è sì e no.

Gli economisti che studiano la teoria dei contratti dividono i lavori in due categorie: quelli di cui si può misurare lo sforzo e quelli dove non è possibile e conta solo il risultato. Se decido di vendere la mia casa, non pago all’agente immobiliare le ore di lavoro che impiega a trovare un compratore, ma soltanto la percentuale quando chiude il contratto. Se invece un’azienda decide di rivolgersi alla sicurezza privata per far cessare i furti, pagherà le ore effettive in cui una guardia armata presidia lo stabilimento. Come si sceglie un contratto o l’altro? Dipende dalla possibilità di monitorare l’impegno che il lavoratore (che nella teoria dei contratti si chiama “agente”) ci mette per raggiungere l’obiettivo concordato con il suo datore di lavoro (il “principale”, nel gergo degli economisti).
Ci sono lavori dove gli orari sono completamente saltati. Penso a noi giornalisti, ma vale anche per tantissimi che lavorano nel settore dei servizi: quando aprite una mail che vi arriva sulla posta aziendale o rispondente al cellulare state lavorando o no? Qualche sera fa, di domenica, ero a mangiare una pizza con amici: tra questi una ragazza che si occupa di social media. Ha passato tutta la serata su Twitter, perché era un momento importante per la trasmissione tv di cui deve curare l’account. Quale contratto di lavoro potrebbe stabilire un orario che contempli anche la domenica sera?
Sempre più aziende – e non solo – danno per scontato che i loro dipendenti si impegnino, oltre all’ordinaria amministrazione, in progetti, corsi di aggiornamento, lavori di gruppo. E che siano sempre reperibili. Spegnere il cellulare o non rispondere a una mail entro 24 ore ormai legittima l’interlocutore a chiamare i parenti o gli ospedali per sapere se siete ancora vivi.
E questo solo per stare alla media, alla nuova normalità dei vecchi mestieri. Poi ci sono i lavori di frontiera che nascono proprio come incompatibili con un orario rigido: dai driver di Uber ai lavoratori a cottimo che vendono le loro prestazioni intellettuali su piattaforme come Cocontest o Amazon Mechanical Turk. Si mettono all’asta le proprie idee, o il proprio tempo, si incrocia domanda e offerta senza intermediari. Le fabbriche hanno ucciso gli artigiani e ora che le fabbriche stanno morendo, ritornano gli artigiani, più intellettuali di una volta ma altrettanto solitari e fragili”.