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15 Settembre 2015 Numero 35 Anno II

 

da mattmark a oggi: la ricerca di una vita migliore

Ogni estate c’è un ricordo che commuove. Ogni estate sempre lo stesso ma sempre vivo. È la memoria della strage in miniera a Marcinelle in Belgio dove morirono centinaia di nostri italiani, lavoratori all’estero. Anche quest’anno il ricordo è andato a loro. Ma ad agosto scorso è stata ricordata un’altra tragedia che ha coinvolto il lavoro italiano all’estero. Un’altra delle tante.

Cinquant’anni fa, il 30 agosto del 1965 a Mattmark nella Valle Svizzera di Saas (Canton Vallese) persero la vita 88 lavoratori addetti alla costruzione di quella che doveva essere la diga più grande d’Europa: 56 erano italiani, 23 svizzeri, 2 tedeschi, 2 austriaci e un apolide. In meno di trenta secondi la loro vita venne spazzata via da una valanga. Toni Ricciardi la definisce nel suo libro “L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana”. All’epoca la Svizzera era meta d’immigrazione operaia e, non mancavano fenomeni di razzismo locale. In quel maledetto cantiere la priorità non era la sicurezza dei lavoratori, bensì quella della diga. Slavine, incidenti, cadute di pezzi di ghiaccio erano ordinaria amministrazione e, nonostante ciò mense, cantine e baracche vennero sistemate proprio in linea diretta al ghiacciaio Allalin. Gli operai lavoravano anche 16 ore al giorno con temperature polari e vivevano in baracche sovraffollate in condizioni igieniche disastrose. Perché la cosa importante era solo l’ottimizzazione dei tempi di lavoro. E l’aspetto più grave della vicenda è che quegli emigranti vennero fatti partire mediante accordi istituzionali. Istituzioni che non sentirono nemmeno il dovere di rendere omaggio alle vittime, né tantomeno di sostenere le famiglie degli operai morti.
La tragedia di Mattmark di cinquant’anni fa e questo esodo attuale di disperati, afferma il nostro coordinatore Uim Europa Dino Nardi, “hanno un minimo comune denominatore e cioè la fame che oggi come ieri, portava i nostri emigranti del secolo scorso e porta oggi questi disperati 2.0 a sfidare ambienti ostili (xenofobi o razzisti) e la stessa morte pur di poter guadagnare da vivere per sé e la propria famiglia”. (Viviana Toia)