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15 Settembre 2015 Numero 35 Anno II

 

sempre colpa?

Alessandro Robecchi - il Fatto Quotidiano - 3 settembre 2015

“Ma per quanto possa piacere la nostalgia, il ricordo del tempo passato, il piccolo tepore della rimembranza, diciamolo una volta per tutte: nemmeno Proust si sarebbe mangiato una petite madeleine vecchia di sessant’anni. E invece ora eccoci qui, immersi nella turbo modernità postideolgica, produttivista e “di sinistra”, a masticare biscottini vecchi di oltre mezzo secolo. Uno per tutti, quello sfornato da Giorgio Squinzi, boss di Confindustria, a proposito dei sindacati che sarebbero “un fattore di ritardo, che ha fatto tardare tanto l’ammodernamento e l’efficienza complessiva del Paese”.

Ah, il vecchio sapore delle cose di una volta! Come tornare bambini. Io imparavo ad andare in bici e già si diceva “è colpa dei sindacati”. C’era il boom economico e comunque era colpa dei sindacati, poi la crisi petrolifera mondiale ed era colpa dei sindacati. Poi venne un’era di latte e miele: l’economia tirava, c’era il sor Bettino e giravano mazzette come coriandoli a capodanno e, niente… era colpa dei sindacati. E così tra alti e bassi, eccoci qui nell’anno due dell’era renzista, dove tutto luccica di speranza e belle frasette a effetto e: indovinate? È colpa dei sindacati. Lo scioglimento dei ghiacciai e quello dei Beatles, l’immigrazione interna e le crisi cicliche del capitalismo, le ristrutturazioni e i licenziamenti di massa, i Righeira, la disoccupazione giovanile al suo picco storico e siamo ancora lì. E che la frase più stantia della politica italiana di sempre venga poi pronunciata tra gli applausi alla festa dell’Unità è anche quello un buon contrappasso: veniamo da lontano, andiamo lontano, poi c’è ‘sto curvone a U, parabolico, che ci riporta lì, alla maggioranza silenziosa, alla marcia dei quarantamila, al dottor Romiti, a la Malfa e Malagodi.
Si dirà che il classico va sempre, che la giacca blu e la frase “è colpa dei sindacati” non tramonteranno mai. Si dirà anche che ora si apre una stagione di rinnovi contrattuali, e che quindi la formuletta torna di moda per motivi tattici. E si dirà anche che una classe imprenditoriale che in questi anni (tutti questi anni) ha dato il peggio di sé – l’altra metà della corruzione, dove la mazzetta è l’anello di congiunzione tra la politica e l’impresa – se la cava con i saldi, indicando un capro espiatorio: il solito.
Eppure c’è anche qualcosa di inedito. Ai “nuovi” che secondo Squinzi “realizzano tutti i nostri sogni” (ottobre 2014) di sogno ne sarebbe sfuggito uno: quello di calpestare i sindacati”.