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15 Giugno 2015 Numero 29 Anno II

 

migrazioni. uno sguardo al maschile

Il progetto migratorio si presenta come un fenomeno complesso, in grado di generare trasformazioni significative, che investono sia la cultura di partenza che quella di arrivo. Il processo di tipo traduttivo che ne scaturisce risulta a un tempo individuale e sociale, in quanto opera una trasformazione delle strategie familiari e delle motivazioni del soggetto, e incide sulla struttura comunicativa condivisa dalla comunità d’origine. La riflessione teorica sulle migrazioni non può esimersi dal considerare la dimensione di genere, quale elemento imprescindibile e costantemente trasversale ai discorsi sociali, che a loro volta orientano comportamenti e determinano pregiudizi.

Essa infatti è al contempo artefice e destinataria del cambiamento, soprattutto se consideriamo le identità culturali e le soggettività in senso processuale, vale a dire come modelli in divenire, soggetti a riscritture e a continue rinegoziazioni. Ciò anche alla luce dell’importanza e del ruolo che il genere assume nell’esperienza migratoria, la cui analisi ci permette di comprendere alcuni aspetti fondamentali del fenomeno, come i processi di transizione, le relazioni di potere, le dinamiche discriminatorie e tutti i fattori specifici tanto del contesto culturale di partenza quanto di quello di arrivo. Un approccio multi-dimensionale al fenomeno migratorio si rende dunque necessario alla comprensione dello scenario delle migrazioni internazionali. Tuttavia tale prospettiva si è focalizzata sulla componente femminile, tralasciando l’analisi di quella maschile e della relazione tra i generi, che al contrario risulta imprescindibile, alla luce del processo di femminilizzazione dell’immigrazione (Castles, Miller 1993): i flussi migratori sono sempre più caratterizzati da una forte presenza della figura femminile, che diventa promotrice di percorsi di mobilità sia sul piano geografico, sia a livello economico e culturale. D’altra parte però la componente maschile presenta aspetti contrastanti, anch’essi latori di trasformazioni, ancor più se si prende in esame la discriminante generazionale. Tra le specificità emerse nel corso di tavoli di lavoro e di ricerche in fieri sui giovani migranti, vi è quella riguardante il progetto migratorio: i giovani migranti di sesso maschile partono già sulla base di promesse, generando grandi aspettative nella famiglia d’origine. Tali motivi spingono a ipotizzare una situazione di vulnerabilità del migrante maschio, legata al rischio di deludere se stesso e gli altri. Potremmo parlare, in tal senso, di un processo di riattualizzazione degli stereotipi del maschio prevalentemente pragmatico e della femmina attenta alla dimensione relazionale e affettiva. La migrazione è vissuta come transizione del giovane migrante di sesso maschile a principale attore economico della famiglia, e prosegue con una costante ricerca di approvazione sociale da parte del paese di origine. Nel paese di arrivo, invece, i migranti maschi si trovano a dover rielaborare i modelli culturali, a causa della necessità lavorativa che li impiega nell’occupazione domestica.
Dalla letteratura scientifica emerge che tale condizione sollecita l’attivazione di strategie di difesa da parte dei migranti maschi, che al contempo si trovano ad affrontare condizioni materiali difficoltose e situazioni di esclusione sociale, profondamente legata alla percezione del maschio migrante come pericoloso. A questo si aggiunge l’impossibilità di compiere percorsi di formazione e professionalizzanti, fondamentali per lo sviluppo personale, professionale e sociale del soggetto, spesso escluso per via della cittadinanza non ottenuta, ma anche a causa di una mancata valorizzazione delle competenze di cui è già in possesso al momento dell’arrivo.
Altro discorso andrebbe fatto per i minori non accompagnati, le cui difficoltà sono direttamente legate alla competenza linguistica, ostacolo all’esperienza di immersione con la realtà di arrivo, da superare mediante attivazione di interventi di integrazione sociale, basati su due presupposti: la competenza linguistica come strumento di antidiscriminazione e l’integrazione come occasione formativa. (Cristina Greco)