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16 giugno 2014 Numero 3 Anno I

 

Immigrati. A futuro lavoro

L’indagine, svolta nel mese di marzo 2014 dalla Uim, ha l’obiettivo di indagare le opinioni della propria utenza circa il tema “lavoro”, nelle città di Milano, Roma, Torino, Verona e Genova.
La maggior parte del campione intervistato, composto da 361 soggetti di 33 nazionalità extra-ue, dichiara di avere un lavoro stabile al momento del contatto (65,1%), anche se un terzo degli intervistati (33,2%) dichiara di non averlo. Sono quasi tre quarti (71,7%) a dichiarare di aver trovato lavoro grazie al canale informale, e cioè al passaparola di amici, parenti e conoscenti, confermando l’importanza delle reti amicali e familiari.

I principali settori lavorativi nei quali è impiegata l’utenza sono: cura alla persona, turismo, ristorazione, industria, edilizia, settore sanitario e servizi di pulizia. Risulta elevata la percentuale di soggetti che non risponde alla domanda “Che lavoro fai?”, quasi il 17%, probabilmente per effetto della condizione di “precariato”. Data un'identità lavorativa frammentata, risulterebbe difficile collocarsi in un settore e “identificarsi” con un mestiere, tanto più essendo quest’ultimo, spesso, legato a mansioni generiche e poco qualificate.
La maggior parte degli intervistati, quasi il 70%, dichiara di non rimanere disoccupato oltre 6 mesi, mentre il 33% non resta disoccupato oltre un mese, a indicare la forte necessità per gli immigrati di possedere un lavoro per poter rinnovare il permesso di soggiorno, che porterebbe nella maggior parte dei casi ad accettare di lavorare ovunque.
Alla domanda “Quale lavoro vorresti fare?” è un terzo dell’utenza a non rispondere (30,5%) e tra le professioni più ambite troviamo il cuoco, l’insegnante e l’infermiere. Probabilmente, il doversi spesso “adattare” a un impiego sotto-qualificato e l’incongruenza percepita tra le risorse a disposizione e gli obiettivi auspicati porta il soggetto ad assumere un atteggiamento di sfiducia nelle proprie capacità di azione, frenando così una possibile costruzione e rappresentazione del proprio futuro.
Emerge forte, tuttavia, l'aspettativa di prestigiose carriere lavorative per i propri figli, come medico, architetto, ingegnere e intellettuale, quasi a rappresentare un riscatto sociale dalla, spesso, umile condizione socio-economica ricoperta. È tramite i figli che il genitore può vedere realizzati i desideri e le aspirazioni frustrati dall’incontro con la società d’accoglienza, immaginando di superare una concezione del lavoro come mera sussistenza per esprimere, invece, i bisogni di realizzazione personale ed espressione del sé, all’interno di un lavoro qualificato e qualificante. (Laura Marolla)