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1° aprile 2015 Numero 24 Anno II

 

integrazione part-time?

Era il 2009. Ricordate lo spot di quei giovani cuochi intenti a impastare, condire e farcire alcune pizze alla velocità della luce? Ventiquattro secondi che parlavano di lavoro, tre secondi per lanciare un importante messaggio: “Siete riusciti a riconoscere i lavoratori con la sindrome di down? Neanche noi. ASSUMIAMOLI!”.
Sono trascorsi sei anni e questo spot – oggi pluripremiato - è lo strumento più accattivante che l’Osservatorio AIPD utilizza nel contatto con le aziende e potenziali datori di lavoro per promuovere l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone down.

Sì, perché al di là dei luoghi comuni che li presentano tutti uguali, sempre felici, con genitori anziani e incapaci di avere rapporti interpersonali e di lavorare, le persone down non sono tutte uguali: ognuna con il proprio carattere, hanno perlopiù genitori giovani (il 75% ha meno di 35 anni), s’innamorano e, grazie al sostegno delle famiglie e a progetti mirati, riescono in moltissimi mestieri.
La sindrome di down colpisce in Italia 38mila persone: 1 persona ogni 1.200 bambini nati. La maggior parte ha più di 25 anni e sono molte le associazioni italiane che si prendono cura di loro, sostenendoli nei diversi periodi della vita e, ognuna, in base alla propria area d’intervento.
Una di queste è il lavoro. Sono numerose infatti le esperienze formative e lavorative a sostegno della disabilità intellettiva. È di questi giorni la notizia che il Quirinale ha rinnovato alcuni stage per persone down nel settore bibliotecario, cucina, servizio a tavola e giardini. Una collaborazione iniziata nel 1999 con il Presidente Ciampi e che, in dieci anni, ha interessato giovani tra i 18 e i 25 anni. Un esempio italiano portato avanti da aziende ed enti pubblici che oggi si estende anche a livello internazionale, come il progetto europeo “Omo, On my own… at work”, che prevede in Portogallo un tirocinio per quattro ragazzi down nel settore alberghiero, finanziato dalla Commissione Europea, nell’ambito del programma Erasmus + Key Action 2.
Nonostante i dati Censis ci pongano ai vertici della classifica europea assegnandoci il 100% in quanto a integrazione dei disabili (il confronto è con il Regno Unito 93,8%, la Spagna 78,1%, la Francia 60,4%, la Germania 16%) non mancano le polemiche sulla qualità dell’integrazione.
C’è chi parla addirittura di “Falsa integrazione dei disabili” (Giovanni Orsina – La Stampa 7 marzo 2015) una denuncia che tocca i temi dell’integrazione scolastica e delle scarse risorse destinate a questo settore, dell’insufficienza di ore per il sostegno, delle differenze interne alla disabilità e dei problemi organizzativi che riguardano più in generale il problema. Una denuncia che ha portato la Coordinatrice dell’Associazione A.I.R. Down, Cristina Bolla, sempre attraverso le pagine de La Stampa (24 marzo 2015), a dire “No ai ghetti scolastici” invitando a “non arrendersi mai” (anche di fronte alla peggiore delle esperienze di integrazione scolastica) alla scelta di “scuole speciali” per i ragazzi disabili.
Scuola, lavoro, salute, diritto all’autonomia e all’integrazione. Interessano momenti diversi della vita ma, molto spesso, trovano un punto di contatto. Il lavoro produce autonomia, la scuola indirizza al lavoro e il termine integrazione - oggi - non può prescindere dagli appelli di Martina, Edoardo, Benedetta, Emanuele, Livia e Nicolas che nello spot AIPD dello scorso anno - #DownLavoro - ricordano a tutti: “Voglio che il primo maggio sia anche la mia festa! E tu?”. (Silvia La Ragione)