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15 Febbraio 2015 Numero 21 Anno II

 

fare un figlio all'estero

Partiamo dalla Francia per parlare di welfare e politiche familiari. Iniziamo dal Paese che registra il tasso di natalità più alto d’Europa, dallo Stato che nonostante la crisi e la disoccupazione presenta una media di due figli per donna, in controtendenza rispetto al resto d’Europa dove - dati Ined - la media è di 1,5-1,6 figli (Italia 1,31 figli per donna – dati Istat anno 2014).
Per una donna che vive in Francia diventare mamma e riuscire a conciliare il lavoro e la famiglia è (quasi) una passeggiata.

È quanto scrive Elisabetta Ambrosi nella rubrica “Uteri in fuga” di DRepubblica. La giornalista ha chiesto ad alcune donne che vivono in Canada, Norvegia, Germania, Francia e Inghilterra di raccontare cosa vuol dire per un’italiana fare un figlio all’estero.
Cinque storie che restituiscono immediatamente al lettore le differenze tra il sistema di welfare italiano e quello degli altri Paesi esaminati. Racconti di donne che all’estero hanno potuto affrontare le proprie scelte con maggior sollievo grazie, senza dubbio, ad aiuti statali.
Sì, perché all’estero a fare la differenza nel periodo della maternità (e paternità) è proprio lo Stato.

Marina vive a Parigi con il marito e i suoi due bambini. Lavora part-time e ha la passione per la musica. Con due stipendi copre a malapena le spese dell’affitto ma può contare sugli aiuti statali: 200 euro al mese sullo stipendio; 130 euro per “allocazione familiare” fino alla maggiore età dei figli; 900 euro al mese di spese vive per i primi sei mesi di vita del bambino. Punto forte dei francesi è il sistema scolastico: costi contenuti e una vasta rete di soluzioni alternative al servizio pubblico dove la metà della retta la paga lo Stato.

Nicla ha avuto la sua prima figlia in Germania e ora si è trasferita a Brighton, in Gran Bretagna, dove è nata la seconda figlia. Racconta le sue maternità: tedesca e inglese. In Germania guadagnava poco ma contava su un sussidio statale di 180 euro mensili, su sgravi fiscali (100 euro) sullo stipendio del marito e su un sussidio di maternità come libera professionista (300 euro al mese).
Nicla rimpiange la Germania e ora che è in Gran Bretagna nota le differenze con il sistema tedesco. Scuole molto care (possono arrivare a 50 sterline al giorno, circa 70 euro) ma per fortuna gli sgravi fiscali alleggeriscono il carico. Lo Stato inoltre eroga dei contributi per i bambini: circa 80 sterline (circa 108 euro) al mese per il primo figlio, 60 sterline per il secondo.

Mattia ha quattro anni e vive con il papà e la mamma Emanuela a Montreal, in Quebec, una provincia del Canada. Emanuela ha un lavoro flessibile mentre il compagno è disoccupato. In Canada esistono tre congedi per i lavoratori: quello di maternità, di paternità e quello genitoriale. Si possono prendere insieme e ti permettono di rimanere fino ad un anno a casa con una riduzione minima dello stipendio. Una parte della retta del nido privato (il 75%) la paga lo Stato che fornisce, inoltre, aiuti economici alle famiglie (200 dollari al mese, circa 150 euro).

Ludovica ha sempre pensato alla Norvegia come un posto “immaginifico”. Oggi vive nella piccola società modello: Oslo, una sorta di “sogno per le mamme italiane”. Oltre ad avere dodici mesi di congedo parentale pienamente retribuiti (sia lei che il marito) e gli assegni familiari, ogni neo mamma che non lavora riceve 6000 euro in un’unica soluzione per i bisogni del bambino nei primi mesi. Successivamente chi ha alcuni requisiti può usufruire di un assegno di 750 euro al mese (dai 13 ai 23 mesi di età del bambino). E “come se non bastasse” lo Stato norvegese versa 200 euro ogni mese ai bambini fino ai 18 anni di età.

Arrivati a questo punto è scontato chiedersi: il sistema di welfare italiano, invece, sostiene adeguatamente la maternità? Le esperienze descritte da queste donne segnano il divario tra l’Italia e gli altri Paesi, tanto che nessuna di loro ha rimpianti per il Belpaese. E nemmeno le statistiche ci rimandano ad analisi confortanti.
Tra una buona notizia (si vive sempre più a lungo) e una cattiva (anno dopo anno nascono sempre meno bambini) fotografano una situazione per niente incoraggiante: l’Istat ci ricorda che nel 2013 abbiamo raggiunto il record negativo in assoluto di nascite al quale non si assisteva dal 1995 (515mila bambini). E le stime Istat di questi giorni, riferite al 2014, sembrano confermare il dato dell’anno precedente: 509 mila nati nel 2014 segnano il “Record negativo dall’Unità d’Italia” (la Stampa, 13 febbraio 2015).

Sono “cifre che parlano di un’Italia che fatica, si svuota, che si aggroviglia su se stessa. Che vive più a lungo ma invecchia con difficoltà”. E continuando a citare l’articolo di Alessandra Arachi, apparso sul Corriere del 29 maggio 2014, si potrebbe concludere riassumendo con degli spot presi dal titolo del suo articolo.
“In Italia mai così pochi neonati. In Italia sempre più mamme lasciano il lavoro. L’Italia non fa più figli. E sempre più giovani emigrano”. (Silvia La Ragione)